Un ottantatreenne ferito ad una gamba, una donna salva per un caso fortuito ed una giovane che se li ritrova faccia a faccia assiduamente: l’enumerazione succitata è eloquente, e fotografa appieno il problema legato ai cinghiali che sta colpendo i comuni delle Preserre vibonesi. Una contabilità che sinora non è diventata macabra solo grazie a concause accidentali legate agli accadimenti raccontati. Come sarebbe andata a finire l’aggressione all’ottuagenario di Piani di Acquaro – mercoledì mattina – se nelle vicinanze non ci fosse stato il figlio? La donna [l’episodio è successo nel circondario] in procinto di subire un’aggressione - sempre ad opera degli animali predetti – che fine avrebbe fatto se la sua vettura non fosse stata parcheggiata nelle adiacenze? Una giovane con figli piccoli, può stare serena se dirimpetto alla sua abitazione [aperta campagna] passeggiano dei suidi? Interrogativi che spiegano compiutamente perché, quella legata ai cinghiali, è ‟un’emergenza”. Lo è da anni e a testimoniarlo sono i numeri: Oltre duecento persone, dislocate tra Acquaro e frazioni, Arena, Dasà e Dinami [la lista comprende anche contadini e imprenditori agricoli] sono in contatto con gli enti preposti, al fine di trovare un rimedio. Tra i più attivi a riguardo c’è Cosmina Silipo, un’avvocatessa locale che da prima della pandemia sta perorando questa causa; pec, contatti e confronti ‘vis-à-vis’ [anche - ma non solo - con Giacomo Giovinazzo, dirigente generale del Dipartimento regionale Agricoltura] su quello che per detta della stessa «rappresenta un problema pure per l’ecosistema e la biodiversità dell’ambiente». Una storia lunga e per certi versi intricata per via di una serie di cose che dovrebbero verificarsi simultaneamente benché qualche intervento in realtà c’è stato «solo su alcune delle aree segnalate – sottolinea però la Silipo – e tutte nel territorio di Piani, non toccando minimamente Limpidi e Acquaro». Intanto nel territorio i mammiferi proliferano: «Durante il periodo di caccia – ci spiega un cacciatore del posto – vengono abbattuti tra Dasà e Arena oltre duecentocinquanta cinghiali, e spesso e volentieri di fronte abbiamo delle cucciolate», numeri considerevoli dacché la stagione venatoria, pur sviluppandosi su più mesi a cavallo tra fine e inizio anno, racchiude a conti fatti poco più di trenta giorni; per tale motivo una delle opzioni avanzate è prorogare questo periodo oppure fare “la girata”: la girata è una tecnica venatoria tanto semplice tanto incisiva. In modo sintetico basta l’utilizzo di un cane con funzioni di limiere – che le squadre dei comuni sopraindicati hanno – ‘muto alla traccia e immune al cambio’ ossia che renda impercettibile il suo arrivo e non vada dietro ad altri animali che non siano i cinghiali. Raggiungendo le zone che quest’ultimi utilizzano per riposare il cane farebbe da esca, facendoli uscire per raggiungere un’altra zona e di conseguenza portandoli dinanzi al gruppo di cacciatori che li aspetta sul percorso. Affinché ciò si materializzi c’è bisogno però di particolari autorizzazioni [ad oggi non pervenute]. Un’attenzione specifica va data anche ai terreni, agricoli e non, dei centri dell’Alto Mesima: i cinghiali, che come zone di rimessa utilizzano spazi fitti, coperti e difficili da attraversare ‘vanno a nozze’ con i numerosi appezzamenti che per abbandono o noncuranza hanno molta vegetazione, e chiaramente ciò crea notevoli problemi anche ai battitori. Frattanto gli stessi cacciatori hanno espresso vicinanza al cittadino di Piani vittima dell’aggressione; secondo alcune indiscrezioni quasi venti selecontrollori [ossia persone che anche durante il periodo di divieto di caccia sono autorizzati ad abbattere una determinata specie selvatica che può creare grattacapi all’agricoltura e agli abitanti] hanno ricevuto le necessarie approvazioni per agire proprio sul territorio di Piani di Acquaro e Acquaro centro. Ogni parte chiamata in causa è dunque pronta a dare il suo contributo mentre i residenti aspettano con trepidazione i prossimi risvolti: la speranza è che quanto successo possa repentinamente passare agli archivi come un brutto ricordo.