Una settimana fa è stato inaugurato e benedetto il crocifisso restaurato di Dasà; professionisti e studiosi d'arte sostengono unanimemente che la scultura lignea — artisticamente parlando — é la più importante tra quelle presenti nel centro vibonese. La constatazione trova conferma anche negli accadimenti passati o recenti: la presenza del vescovo sabato scorso, un approfondimento culturale (a cura della Diocesi) e il fatto che il simulacro — diversi anni fa — é stato protagonista in un'esposizione di crocifissi, indetta dalla Sovraintendenza delle Belle Arti; quest'ultima ha ricoperto un ruolo importante nel restauro.
L'ultimo intervento (che segue quello del 1981) é stato fatto da Nicola Mazzitelli, che ci ha raccontato e spiegato tutto il progetto. «Nella prima fase – esordisce – ci sono stati tre passaggi: la disinfestazione anossica per eliminare i tarli (una tecnica che sfrutta la mancanza di ossigeno per far morire gli insetti) e il consolidamento tramite iniezione di paraloid (una resina acrilica che ha reso la statua più compatta, meno friabile). Queste operazioni — continua — ci hanno permesso di fare una pulitura superficiale e l'ultimo passaggio, una campagna diagnostica mirata (su una struttura seicentesca come quella prodotta da Giuseppe Maresca). Abbiamo studiato a lungo la situazione — conclude — per completare il restauro». Una volta visualizzati i risultati delle analisi predette, c'è stato un nuovo contatto tra la Sovraintendenza delle Belle Arti e la Diocesi, al fine di aggiornare la progettazione; una procedura classica e propedeutica alla seconda fase, il napitino ha descritto anche queste azioni:«Abbiamo utilizzato la balsite, per ricostruire le parti mancanti e consolidare le lesioni, inoltre — sottolinea — abbiamo tappato i fori dei tarli visibili (che oscuravano il carnato). Unitamente a ciò c'è stata la stuccatura di lacune e mancanze — livellata ad imitazione della superficie circostante — e il perizoma è stato integrato con oro in conchiglia. Infine è stata passata la vernice protettiva».Tutto ciò al fine di non disturbare la lettura dell'opera e lasciando un'eredità su quanto fatto: a riguardo è stata usata la tecnica del rigatino e del puntinato (utilizzata nei restauri per far capire ai posteri le azioni fatte).
Anche la croce ha subito delle migliorie: quella su cui poggiava Gesù era stata creata ad hoc negli anni precedenti. «L' originale — evidenzia il professionista — è stata portata all'antico splendore; abbiamo bloccato il processo di decomposizione e l'abbiamo resa funzionale a tenere il Cristo».
Il parroco del paese, don Bernardino Comerci, ha commentato quanto successo dal punto di vista religioso:«É un crocifisso che parla con il suo silenzio — ha detto — che accoglie, consola e raccoglie lacrime». Ha poi evidenziato la presenza del vescovo, facendo il parallelo con la fusione dell'oro votivo, donato dai fedeli per la raggiera del Cristo Risorto; il presule aveva presenziato anche in quell'occasione. «Ha partecipato — la dichiarazione finale — a queste giornate, in cui al centro c'erano i due misteri principali del cristianesimo: la crocifissione e la resurrezione di Gesù».
I due progetti mostrano icasticamente la volontà di dare centralità al Figlio di Dio, e in un certo senso creano un filo diretto tra l'attuale sacerdote del borgo montano e quella storico (don Salvatore Santaguida). Quest'ultimo — nel 1961 — aveva disposto che l'effigie fosse posta sopra l'altare, posizione che occupa tutt'oggi; entrambi hanno dato la giusta e dovuta rilevanza al simbolo più importante dei cristiani.