Giovedì scorso nella biblioteca comunale di Dasà è stato presentato un libro: il titolo è Inferi e gli autori sono Antonino De Masi e Pietro Comito. Il primo è un impresario che è stato minacciato dalla 'ndrangheta e vive scortato, il secondo un giornalista che da anni cura inchieste e format sulla criminalità organizzata; il suo ultimo lavoro è proprio il racconto della vita dell'industrale. Le tematiche attenzionate, racket, sistema creditizio e lavoro giusto per citarne qualcuna, hanno sempre suscitato grande interesse negli abitanti del posto, tuttavia la manifestazione dei giorni scorsi si è differenziata dalle tipiche presentazioni di volumi, sia per le argomentazioni dei conferenzieri sia per il tempo – quasi due ore – di colloquio, con gran parte degli uditori che sono ugualmente rimasti nella sala (particolare non di poco conto).
Gli interventi più attesi erano quelli del prefetto di Vibo Valentia, Anna Aurora Colosimo, degli autori e dei rappresentanti di Libera, l'associazione principale nell'organizzazione della serata. La rappresentante dello Stato ha definito De Masi «una persona tutta di un pezzo, che ha mantenuto sempre la schiena dritta senza nessun piagnisteo; la sua – ha continuato riferendosi all'uomo d'affari – è una testimonianza forte ma abbiamo rischiato diventasse un eroe». Non è stato un discorso lungo ma è risultato particolarmente attrattivo per la semantica e la precisione sui temi toccati. Questi fattori la accomunano al ragionamento fatto da don Pino De Masi, referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro, area in cui vive e lavora Antonino De Masi; per il religioso «trent'anni fa in questa stanza non ci sarebbe stato nessuno» e la folta presenza «è dovuta ad un cammino» che l'aggregazione da lui rappresentata ha fatto. Le sue ultime parole, «cambiare per restare, restare per cambiare», sembrano rivolte anzitutto ai giovani e risultano molto efficaci per chiarezza e semplicità. Pietro Comito come predetto è tra i maggiori esperti del fenomeno mafioso e ha dato un contributo legato a doppio filo alla sua esperienza professionale e la presentazione dell'opera: ha definito la sua produzione «un racconto struggente ma anche di speranza e di coraggio», sottolineando la solitudine del protagonista della storia e definendo De Masi «un uomo di carne e acciaio». Quest'ultimo ha parlato dei suoi valori di vita, fede e Stato, sostenendo che accettare estorsioni, o comunque scendere a compromessi con associazioni criminose, significa garantire soldi ai figli ma contemporaneamente continuare una schiavitù. Si è anche definito «follemente innamorato di questa regione e della sua gente», invitando il pubblico a non commemorarlo da morto ma aiutarlo da vivo. Infine a prendere la parola è stato Giuseppe Borrello, referente regionale di Libera, che ha sostenuto che un'altra Calabria non solo è possibile ma è sempre esistita. La sua come le altre è stata una trattazione molto pragmatica, con riferimenti concisi ma espliciti: ha asserito che buttare fango è meglio delle parole perché garantisce una morte civile, precisando che presentare denunce di questo genere in tribunale «significa avere viscere d'amianto» e citando i numerosi imprenditori che a seguito di queste segnalazioni hanno registrato un calo di vendite nelle loro attività; descrivendo il testo attenzionato ha detto che «formerà la coscienza di ognuno di noi».
Logicamente ci sono stati anche altri spunti di riflessione e considerazioni – oltre ai saluti posti dal sindaco del paese, il moderatore dell'incontro Matteo Luzza, i rappresentanti dell'Associazione culturale e il Movimento Aquila Rossa di Dasà e la referente provinciale di Libera Maria Joel Conocchiella – ma la discussione è apparsa abbastanza autentica e inedita rispetto alle dichiarazioni ovvie e telegrafiche che generalmente contraddistinguono questo genere di serate. Non è dato sapere se quello di quattro giorni fa può essere considerato un unicum ma è probabile che anche i prossimi scrittori e relatori seguano questo nuovo iter, trattando temi diversificati con parole più dirette.