La Penna Rossa

Il 31 maggio 2016, Dasà piangeva la morte improvvisa di Mike Arruzza: artista pluripremiato e poliedrico, la sua produzione consta di oltre 700 opere esposte in tutti i continenti. Innumerevoli persone conoscono la sua pittura e il suo stile, ma tanti possono vantare anche un rapporto umano profondo e tangibile con l'uomo.

Tra questi c'è il giornalista Pietro Comito, che nella ricorrenza ha parlato del suo legame con il dasaese. «Mike mi manca», sottolinea il professionista. «In questi anni ho pensato spesso a lui. Sono stato il suo biografo, ma sono diventato anche suo grande amico, malgrado la differenza d’età e soprattutto i nostri caratteri opposti. Raramente – continua – nel corso della mia vita ho incrociato un uomo tanto mite, tanto dolce, tanto garbato. Era ciò che traspariva dai suoi straordinari dipinti, ma anche ciò che esprimeva nel quotidiano, con i gesti, le parole, il tono della voce».

Poi il cronista racconta un aneddoto di cui è stato protagonista: «Io che non ho queste qualità – spiega – una volta lo sfidai a realizzare un’opera lontana dal suo modo di essere. Lui accettò la sfida e mi disse: «Indicami tu il soggetto». «Okay – risposi – l’inferno, le anime dannate, Caronte che le traghetta». Quando completò il quadro rimasi senza parole: Caronte, coi suoi occhi di fuoco, sembrava mi parlasse: eppure Mike riuscì a rappresentare quella immagine infernale con la delicatezza del suo animo e del suo essere».

Come succitato tra i due c'era una forte relazione affettiva, esplicitata nelle parole successive: «La prematura morte di Mike – evidenzia il giovane – ha lasciato un grande vuoto nelle vite di coloro che lo hanno amato. In molti ricordano l’artista, ma l’uomo, nella sua magnifica normalità, era ancora più grande. La morte in sé, lo sappiamo, rende ognuno migliore di quel che è stato; c’è spesso ipocrisia, in questo. Non per Mike, però. Mike era davvero uno di quegli uomini che col suo respiro rendevano l’aria del mondo migliore, più pulita. Lui amava la sua terra, il suo paese Dasà, sua moglie Iride e i suoi splendidi figli. Li amava intensamente, con un candore immacolato».

Tra le sfaccettature più belle menzionate dal reporter, ci sono le chiamate: «Ci sentivamo quasi tutti i giorni. Era quasi sempre lui a chiamare, perché io, allora come oggi, ero costantemente impicciato con il mio lavoro», ci dice il documentarista. A volte erano telefonate brevi: «Ciao Pietro, come stai?». E io: «Combatto, tengo duro, come sempre. E tu?». «Ma sì, dai, bene. Se hai bisogno di me, io ci sono». Comito rammenta anche i contatti intercorsi durante i suoi viaggi: «Restavamo al telefono per un tempo infinito. Mi raccontava di quel che dipingeva e ad ogni tocco di pennello associava un ricordo. Mike riempiva di infinita, nobile dolcezza, molti vuoti».

Un vuoto che l'intervistato sente ancora oggi e collega ad un momento preciso: «Il valore effettivo di tutto questo – la chiosa – lo compresi quando mi chiamò suo figlio Francesco e mi disse: «Papà se ne è andato». Lo compresi, come in tutte le cose della vita, quando il telefono non squillò più. È vero, sì: non sai mai davvero quel che hai, finché non lo perdi. La Calabria ha perso uno dei suoi più grandi artisti, io un amico vero».

Oggi Pietro, che sul pittore ha anche scritto un libro dal titolo “Arruzza. Storia vera di un vero artista” – la foto di copertina che li ritrae insieme con il volume è datata 12 maggio 2012, alla Fiera Internazionale del Libro a Torino – cita l'amico in molteplici occasioni. Ma soprattutto (e le sue dichiarazioni sono la prova più evidente) lo porta quotidianamente nel cuore.